L’altra Cape Town, nel ventre profondo delle township

Non solo surf, natura lussureggiante, ristoranti alla moda e safari in riserve naturali fuori porta. Cape Town è anche township, l’altro volto della città, quello dove l’apartheid ha lasciato ferite profonde, dove gli scontri politici erano più esacerbati, dove per anni non ci sono state nè acqua potabile nè corrente elettrica.
Nelle township vivono solo neri. Sono considerati decisamente off limits i visitatori di passaggio, a maggior ragione se si tratta di turisti con la pelle bianca. Se vuoi entrare in una township, occorre preventivamente avvisare, se non addirittura farsi accompagnare da gente del posto.

20170226_111547Eppure, da qualche anno nelle township si organizzano visite guidate. Non è un modo per esporre la miseria di gente che vive ancora in container o baracche fatiscenti fatte di lamiera, ma piuttosto è un modo per far comprendere le conseguenze dell’apartheid, per far girare un po’ l’economia di posti in un cui c’è un tasso di disoccupazione pari al 45 per cento, in cui si campa prevalentemente di assistenzialismo, in cui la gente vive come se non ci fosse un domani. Infatti le guide di queste visite sono coloro che ‘ce l’hanno fatta’, che hanno un tasso di alfabetizzazione medio-alto e che utilizzano questa forma di ‘turismo responsabile’ per sostenere progetti di sviluppo per la comunità locale.

Arrivo a Langa, la più grande e la più antica township di Cape Town, una calda domenica mattina di fine febbraio. L’atmosfera è rilassata. Dalle parrocchie, allestite sotto i tendoni oppure ospitate in baracche di lamiera, provengono brani gospel e battiti frenetici di mani. La musica è trascinante. Bantu, la mia guida, mi spiega che oltre l’ottanta per cento degli abitanti di Langa sono cattolici.
Chi non è in parrocchia, è per strada a lavare i panni alle fontane pubbliche o in fila per comprare carne da una delle tante bancarelle dove si arrostiscono pezzi di pollo, agnello e maiale sapientemente marinati.
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A Langa, dove oggi vivono circa 80mila abitanti, è rappresentata la lower, la middle e la upper class. La lower class vive in baracche di lamiera fatiscenti o container recuperati dal porto di Cape Town. Ogni 200 metri ci sono i bagni pubblici (cabine di muratura piuttosto malandate), di cui si servono centinaia di persone che risiedono in questa zona della township. Qui il tasso di disoccupazione è altissimo, così come il tasso di analfabetismo e alcolismo. A tutto ciò si accompagna una pervicace diffusione dell’HIV, nonostante le campagne di sensibilizzazione condotte da associazioni di volontariato e la distribuzione gratuita di condom.
L’energia elettrica, una recente conquista da queste parti, è ‘prepagata’ dallo Stato, ma se la razione di energia assegnata a ciascuna famiglia termina prima del previsto, occorre andare a ricaricare il generatore a proprie spese. “Qui la gente vive soprattutto di assistenzialismo e non fa granchè per cambiare la propria condizione”, aggiunge Bantu.

La middle class vive in palazzine di muratura, alcune delle quali sono nuove e assegnate dalla municipalità in base a criteri specifici, altre sono fatiscenti e abbandonate all’incuria. In alcune di queste case vivono contemporaneamente fino a quattro famiglie, condividendo bagno e cucina.
In entrambe le zone la gestione dei rifiuti è una questione spinosa. Le buste di plastica disseminate lungo le strade non asfaltate, gli avanzi di cibo, le carcasse di legno e i rigagnoli di acqua maleodorante sono una costante di questo desolante paesaggio urbano.

C’è infine la upper class. “La chiamano Beverly Hills”, dice Bantu. Io penso che sia una battuta, ma questa zona è chiamata davvero così! Una schiera di villette signorili, ben curate e recintate, costituiscono l’area più ricca di Langa. Ci vivono coloro che, dopo aver studiato, sono riusciti a elevare la propria condizione economica e sociale e, anziché trasferirsi nelle zone chic di Cape Town, hanno scelto rimanere a Langa e di migliorare il proprio quartiere di origine. Mi domando se non ci sia conflittualità fra i ‘nuovi ricchi’ e coloro che sono rimasti ai margini della società. “Non ci sono invidie né rivalità nei confronti di coloro che si sono arricchiti grazie a fatica, impegno e dedizione. Anzi sono un esempio tangibile del fatto che, pur nascendo in una township, esistono possibilità di miglioramento”, conclude la mia guida.

Il lavoro della Commissione Verità e Riconciliazione ha avuto un forte impatto sulle township, dove alcuni luoghi simbolo dell’apartheid sono stati trasformati in musei che spiegano il passato per trasmettere ai giovani l’importanza di conoscere il passato per evitare che tali situazioni si ripetano in futuro. Visitiamo ad esempio il Dom Pass Office, oggi un museo, che in passato distribuiva il lasciapassare che autorizzava gli abitanti delle township a entrare nelle “zone bianche” della città il tempo strettamente necessario a lavorare. Il pomeriggio ogni uomo nero era tenuto a rientrare nella propria township, pena 90 giorni di reclusione.
Proprio a Langa, nel 1960, nacque il primo movimento contro la politica del pass. Un periodo molto intenso di marce di protesta si concluse tragicamente il 21 marzo 1960 con il massacro di Sharpeville, in cui la polizia sparò su centinaia di manifestanti neri.

 

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Bantu, la guida dell’agenzia che effettua la visita “LaGuGu” nelle township

 

Chiedo a Bantu che cosa mi accadrebbe se oggi decidessi di vivere a Langa. Correrei qualche pericolo a causa della mia pelle bianca? “Assolutamente no”, mi risponde, “a patto di farti prima conoscere dalla comunità”. Non ne sono così certa. Secondo il programma, per una parte della visita guidata avrei avuto la possibilità di andare alla scoperta di Langa in sella a una bicicletta. Ma questa parte del programma è stata eliminata: la scorsa settimana un gruppo di turisti in bicicletta sono stati minacciati e derubati di soldi e macchine fotografiche, nonostante la presenza della guida del posto.

La visita prosegue verso Gugulethu, che in lingua xhosa significa ‘il nostro orgoglio’. “Gugs”, come viene chiamata dai suoi abitanti, nasce nel 1958 per accogliere i migranti che provenivano dalle zone rurali del Transkei o gli abitanti provenienti da Langa quando iniziò a sovrappopolarsi. Gugulethu è tristemente famosa per due episodi legati all’apartheid, a cui sono dedicate le prime due tappe di questa seconda parte della visita. Ci fermiamo di fronte a una monumento costituito da sette sagome. Sono i ‘Gugulethu Seven’, i sette ragazzi membri dell’uMkhonto we Sizwe, il braccio armato dell’African National Congress, uccisi dalle forze di sicurezza del Sud Africa il 3 marzo 1986.

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Molto più discreta, se non quasi nascosta fra una stazione di servizio e il rottame di un’auto in vendita, è la croce dedicata alla memoria di Amy Biehl, studentessa americana e attivista anti-aparthaid brutalmente uccisa nel 1993 da quattro persone di colore che quel giorno avevano già aggredito i conducenti bianchi di altre vetture, al culmine delle tensioni fra popolazione nera e bianca. Di lì a poche settimane Nelson Mandela sarebbe stato rilasciato dalla prigione di Robben Island. Nel 1998 la Commissione Verità e Riconciliazione lo considerò un “crimine politico” e perdonò i quattro assassini di Amy. La famiglia della vittima ha fondato la Amy Biehl Foundation, che propone attività educative e culturali ai giovani di condizioni svantaggiate che vivono nelle township, per tenerli lontani da droga e criminalità.

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Gugulethu è nota non solo per il doloroso passato, ma anche per uno dei ristoranti più famosi della città: Mzoli’s Place. Come scrive il Cape Town Magazine, “Mzoli’s is not a posh restaurant by any stretch of the imagination – it’s rustic, tasty and a real township experience”.
Mzoli’s si riconosce subito dalla lunga coda di gente in attesa di scegliere la carne dal bancone della macelleria e farsela cucinare sul momento. Durante il fine settimana si arriva ad attendere anche due ore in coda. Mzoli’s attira abitanti del posto, cittadini di Cape Town e tantissimi turisti. La formula è collaudata: scegli la carne che preferisci, la compri e la depositi nella cucina adiacente dove te la cucinano. Appena è pronta, te la porti nel tendone accanto dove ci sono decine di tavoli di plastica e un dj che diffonde musica techno a tutto volume.


Mzoli’s vende e cucina la carne. Piatti, posate, bicchieri, bevande, pane, dolci e tutto ciò che non è carne, possono portarlo i clienti da casa o comprarlo in una delle bottegucce vicine.
Quando faccio capolino sotto al tendone rimango stordita dal caldo e dalla musica a tutto volume selezionata da un dj sorridente e rilassato. Il signor Mzoli è proprio lì, che scruta con approvazione la gente intenta a mangiare e a parlare a voce sempre più alta per sovrastare la musica.ù

Perché Mzoli è così tanto amato dai turisti? E’ solo una questione di carne, l’alimento più apprezzato dai sud africani? E’ piuttosto una questione di atmosfera, di energia che scaturisce da quel posto. Lo riassume perfettamente uno dei commenti che ho letto su Tripadvisor, dove Mzoli’s è recensito fra buono ed eccellente: “E’ tutto al limite della pulizia ma ti fa sentire davvero in Africa!”


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